L'esercizio di solfeggio fu interrotto da un'ambulanza che transitava a sirena spiegata.
Si fermò proprio sotto casa mia, ed io stavo per riprendere a suonare quando ci si mise pure il campanello. Aprii, e la stanza fu invasa da tre individui intabarrati in tute di plastica, il capo coperto da un casco protettivo.
Uno di loro imbracciava un tablet e dirigeva le operazioni. "È lei il signor ***?" "Sono io perché?"
"Deve venire con noi".
"E perché mai?"
"Lei è nella lista - qui risulta che necessita di ricovero urgente"
"Che ricovero e ricovero, io non ho bisogno di nulla."
"Guardi che è un miracolo se le è toccato un posto. C'è un'attesa di mesi!"
"Io non ho chiesto alcun ricovero".
"Eppure lei è in lista, guardi qui (mi mostrò il tablet con una serie di nomi, fra cui il mio). E se c'è, vuol dire che il suo è un caso urgente. Non si agiti, non aiuta e potrebbe peggiorare il suo stato".
"Avrò pure il diritto di rifiutare!"
"Si rifiutano cure non indispensabili - questo invece è un intervento necessario. Non si possono evitare le cure necessarie"
"Ma io sto benissimo..."
"Oggi, ma chi può dire se starà ancora bene domattina? Se il suo nome è scritto qui..."
"Ma di che cura si tratta?"
"Sono solo un infermiere, signore. Questo glie lo potrà dire il Primario. La visita è prevista fra un'ora ma se non ci spicciamo...."
"Protesto, non sono informato!"
"Per quello è previsto il modulo. Lo firmerà prima dell'intervento".
"Intervento? Protesto... mi state trattando come un oggetto...".
"Insomma, la smetta di fare il bambino e si sdrai sulla lettiga per favore".
"Protesto...." dissi ancora debolmente, adagiandomi.
"Va bene va bene, lo spiegherà ai colleghi. Andiamo adesso. Ah un'ultima cosa: incroceremo i suoi vicini, i passanti . Mi raccomando, resti tranquillo e andrà tutto bene. Meglio se ad occhi chiusi: è ciò che la gente si aspetta da uno trasportato in ambulanza".
Il tragitto fu lungo, con la sirena che mi trapanava il cervello. Il personale di bordo aveva smesso di interloquire e tutti erano chiusi in se stessi, in un silenzio assorto. All'arrivo fui prelevato con la lettiga e introdotto in un ambiente semibuio, dove potevo solo intuire la presenza di altri malati.
Finalmente arrivarono due inservienti dall'aria gioviale che mi presero in consegna e iniziarono a spingere la lettiga per un corridoio. Parlavano di non so che permessi sindacali, ferie, congedi.... sembravano, ed erano, del tutto disinteressati a me.
Il tragitto finì davanti a un ascensore, nel quale entrammo tutti e tre, più lettiga, con qualche difficoltà. La questione permessi non era chiara, e la discussione andò avanti finché mi lasciarono, e presumo anche dopo.
Mi avevano depositato in una sala dalle luci abbaglianti, dove si notava un viavai indaffarato di soggetti che non riuscivo a qualificare: infermieri, primari, semplici medici, inservienti.... a un certo punto un tipo in camice verde si accostò e mi apostrofò con un "E allora, si sta bene qua? Caro il mio Carletto, stai pure calmo tanto ci vorrà ancora del tempo". Carletto?
Poi arrivarono altri due, che mi spogliarono dei miei abiti e mi chiusero, si fa per dire, in una specie di camicione di carta molto aperto. Mi sentivo indifeso e tentai una piccola reazione, ma fu tutto inutile. Un tizio mi porse un foglio intitolato Consenso informato: "Firma qua", fu l'unica cosa che disse. Era impaziente, aveva fretta, e non me la sentii di mettermi a questionare, per cui firmai. Era per mia tutela, soggiunse brevemente.
"Ciao, sono la sostituta del Primario", fece una giovane molto carina, il volto appena celato dalla mascherina protettiva. "Il Professore oggi non è disponibile, e ha lasciato il compito a me. Ti presento la dottoressa anestesista, che mi aiuterà nell'intervento". Anche l'anestesista era poco più che una ragazza. Notai due occhi penetranti e simpatici.
Mi spiegarono qualcosa in più dell'intervento, tipo la presunta durata, che cosa mi sarei dovuto aspettare al risveglio... dopo di che attaccarono la cannula, già inserita nel braccio, ad un tubo proveniente dalla flebo sopra di me. "Conta fino a dieci per favore".
"Uno, due, tre..."
".. Cinque, sei, sette..." "Basta basta, sveglia! Già fatto, come ti senti? Fa male?" "Solo quando rido" tentai di scherzare. Ma in effetti sentivo assai poco dolore - appena un fastidio nella regione toracica.
"Molto bene. Fra poco l'effetto dell'anestetico sarà passato, ma il dolore non dovrebbe affiorare gran che".
Passai una notte discreta, riuscendo anche a dormicchiare. Altri nella corsia stavano peggio, a giudicare dai lamenti e dalle chiamate agli infermieri.
La mattina la chirurga carina passò a sentire come stavo, scambiò due chiacchiere e mi medicò la ferita. Era un taglio orizzontale sul lato sinistro del torace, rosso scuro per il disinfettante. "Stasera vedrai il Primario e ti spiegherà la situazione", concluse.
"Lei rientra nel programma di terapia precauzionale orientativa adottato dalle autorità sanitarie nei confronti dei soggetti ritenuti a rischio", mi spiegò il Primario con aria professionale. "A rischio di che cosa?" azzardai. "A rischio di compromettere la salute pubblica e la propria con comportamenti al di fuori dei parametri stabiliti". "Quali parametri?" "Non sono pubblici, non mi chieda". "Ma stabiliti da chi?" "Dal Ministero della Salute, ovviamente, in collaborazione con quello dell'Interno. A lei è stato integrato il cuore naturale con un chip artificiale responsivo. Adesso Le consegno uno splendido telecomando e pensi un po', Lei, solo premendo questi tasti, potrà programmare frequenza, intensità e per così dire colore della reazione cardiaca; e poiché da questa dipendono in gran parte anche le emozioni, lei sarà in grado di condizionare il suo stato emotivo, inducendo in se stesso gioia, serenità, sicurezza, ed ogni altro stato positivo, intervenendo a correggere alterazioni negative quali dolore, tristezza, angoscia, ma anche semplice incertezza o disorientamento. Pensi che vantaggio.
E se poi dovesse perdere il telecomando, potrà chiederne una copia!"
Così dicendo mi consegnò un apparecchietto in tutto simile al telecomando del televisore, dove ogni tasto era contrassegnato da una faccina. Tutte le faccine, pur diverse fra loro, erano di tipo lieto. Nessuna era al negativo.
Rimasi senza parole, con quell'aggeggio in mano, e il primario ne approfittò per mandarmi via senza altre cerimonie. Non senza però farmi firmare un assenso alla conservazione, ed eventuale uso, di una copia del telecomando da parte di uno speciale Dipartimento ministeriale ("il Dipartimento si riserva una copia di tutti i telecomandi consegnati, anche per l'eventualità di una programmazione centrale").
Lasciai l'ospedale con una gran tristezza addosso, e senza alcuna voglia di azionare il telecomando per togliermela di dosso. A casa mi sistemai in poltrona e accesi il televisore, ma le uniche notizie riguardavano i grandi successi della medicina, dell'economia, della politica. Che fortuna era toccata in sorte a noi nati in quest'epoca di grande progresso tecnico, in cui le aziende e i governi si prendevano cura della nostra felicità! Spensi il televisore mosso da un inspiegabile rimpianto per quando si stava peggio.
Stavo per guadagnare il letto quando qualcuno bussò alla porta. Dallo spioncino riconobbi la giovane chirurga che mi aveva operato. Si guardava attorno con circospezione, e appena aprii si intrufolò in casa richiudendo.
"Scusa se ti disturbo, sono qui in incognito. Ho da dirti una cosa importante e molto riservata".
"Riguarda la felicità? Lo so già, qual è il tasto da premere".
"Non è il caso. Il fatto è che il nostro Primario non è molto assiduo in sala operatoria. Anzi, poiché ha fatto carriera per meriti diversi da quelli professionali, in ospedale frequenta solo il suo ufficio, quello dove ti ha ricevuto, e per il resto delega tutto a noi".
Cominciavo a incuriosirmi.
"Vedi - proseguì - non tutti negli ospedali sono d'accordo con la campagna di impianti e con le sue finalità. In particolare io e Bettina, l'anestesista, potremmo definirci... diciamo obiettori di coscienza. Molti soggetti li rimandiamo a casa senza spiegare nulla, perché sono soddisfatti dell'intervento e non chiedono di meglio che potersi comandare le emozioni. Ma tu sei diverso, si vede, e non posso negarti la verità: a nessuno, in realtà, applichiamo il chip nel cuore. La ferita c'è, ma dentro, i vostri cuori di carne sono ancora intatti! E vuoi sapere come funziona? Tutti azionano il loro telecomando, e sono convinti di modificare le proprie emozioni, mentre invece non azionano un bel nulla...."
"Ma dunque, il mio bel cuore, sotto la pelle, è ancora quello di prima?"
"Proprio così!", sorrise.
Mi prese una gran voglia di abbracciarla e baciarla, ma lei si congedò in fretta. Prima di uscire, però, tirò fuori dalla borsa qualcosa. "Un piccolo ricordo di questa storia", disse.
Era un peluche, un orsacchiotto. La dottoressa prese il telecomando, che era rimasto sul tavolo, e premette il primo pulsante. "Hahahaha!" fece l'orsacchiotto.
Premette il secondo pulsante. "Mmmmmmm!" fece quello scodinzolando....
Allora sì che sbottai in un colossale risata! Ridevo ancora a crepapelle mentre lei, guadagnata la porta e controllato in giro, spariva in quel nulla da cui solo poco prima era apparsa.
Firenze, 18 aprile 2021