martedì 16 settembre 2025

FIRENZE CITTA' APERTA

E’ l’alba. Firenze, città di solito avara di riconoscenza, rende grazie al riscaldamento globale: aprile è ancora giovane, ma un sole precoce benedice i turisti che vagano senza una meta apparente, quasi in costume da bagno, lungo le vie del centro. Danno un senso di svogliata pigrizia che la fretta dei commessi del carico e scarico, indaffarati coi loro furgoni di fronte a bandoni mezzi chiusi, non riesce a contrastare. Un camion enorme aggancia un cassonetto e ne preleva rumorosamente il contenuto. Le sofisticate, costosissime ma ormai inutili aperture a chiave dei bidoni, divelte e spalancate come fauci di animali preistorici, lasciano già emergere i miasmi tipici dell’estate.

E’ l’alba dunque, ma per gli studenti delle università per stranieri è ancora la sera prima. Il bicchierone che hanno in mano da ore contiene ancora alcol, acquistato più e più volte nei negozietti di cibo e liquori che hanno sostituito i vecchi atelier di artigiani. Si riconoscono dai cartelli con la scritta “Open 24h” a led rossi lampeggianti in campo nero. Dentro, un sonnacchioso inserviente indiano sorveglia quattro cibarie che nessuno compra, e i liquori che sono il suo core business.

Dal portone di uno dei tanti Student Hotel fa capolino una coppia di americani attempati. L’ultimo titolo di studio devono averlo conseguito nel Kansas qualche decennio fa. A dispetto del nome, qui di studenti nemmeno l’ombra, tanto nessuno controlla. Al piano ammezzato, al lume ancora debole del nuovo giorno, un solerte impiegato amministrativo dai tratti orientali fa i conti dei ricavi di ieri, e prepara il cash pooling: trasferisce il denaro dalla banca locale a quella della casamadre in Olanda. Deduce soltanto lo strettissimo necessario alle spese vive, fra cui il proprio misero stipendio. Di questo ricco business, è tutto ciò che rimane in città.

Intanto un signore con secchio e stracci entra in un appartamentino di via Maffia. E’ il proprietario, e deve fare il cambio di ospiti nel giro di poche ore. Prima viveva lì, ma si è trasferito in un ambiente più confortevole in periferia e affitta la sua casina su internet. Ha resistito alle lusinghe di società anonime, che vorrebbero appropriarsi della gestione. No, lui fa da solo, paga le tasse al Comune, oltre che allo Stato, e anche il netto dei suoi ricavi rimane in circolo a Firenze. Via Maffia, prima luogo di degrado e abbandono, ora è ordinata e tranquilla.

Piano piano si sono fatte le dieci del mattino. Piazza dei Pitti è un grande scivolo di ghiaia cementata che dal Palazzo scende fino alle case di fronte. I turisti in attesa di entrare al museo sono seduti per terra, perché nel Rinascimento le panchine lì non c’erano, e dunque non possono esserci neppure adesso. Una coppia di vigili li fa alzare tutti in piedi, per il decoro. Sono un po’ nervosi, i due, perché oggi sono comandati in via de’Neri, dove si è già radunata la solita ressa davanti a un negozio che vende panini. Lì il mestiere di vigile diventa più complicato: devi farti vedere, magari comparire nei selfie di qualche deficiente, ma non puoi, né devi, disturbare la gente in coda, e neppure quella che, conquistato il panino, siede sui gradini dei palazzi a consumare. Pingui piccioni si contendono avanzi unti di maionese.

Sì, sono le dieci, e turisti ignari già siedono nei déhors dei ristoranti di piazza della Repubblica. I déhors sono orribili fabbricati di metallo e plastica, soggetti alla necessaria ma instabile autorizzazione del Comune, che occupano e ricoprono buona parte della piazza. Da menu provvisti di foto esplicative gli stranieri hanno ordinato spaghetti con meat balls, o una carbonara. Per le 10:30 avranno già consumato il pasto e, per finire, potranno ordinare un bel cappuccino. Solo più tardi, nelle vie dintorno, si infittirà l’andirivieni dei ciclisti con sacca di cibarie sulla schiena, per le consegne a domicilio. Partono un po’ più tardi, perché gli italiani, prevalenti destinatari, rispettano gli orari di pranzo e cena. Le bici sfrecciano in contromano, affrontano semafori rossi e stop con arrogante spavalderia, ma il cibo arriverà in tavola comunque semifreddo.

Dio, Dio, la giornata sarà ancora lunga! Vi prego, ditemi che cosa fare!

Mi avvicino senza neppure accorgermene alla Loggia dei Lanzi, la supero senza fermarmi. Mi metto in coda per gli Uffizi. La coda è lunghissima, quasi più di quella dei panini. La noia, che volevo evitare, mi si para davanti.

Alle undici, senza aver fatto che pochi passi verso l’ingresso, rinuncio e salgo fino al Piazzale Michelangelo. Buona parte della terrazza, che qualche non imparziale definizione vorrebbe “la più bella del mondo”, è occupata da auto e pullman colossali. Mi assale il sogno di un parcheggio sotterraneo, ma non è che una sciocca fantasia: chissà quanti sono i motivi per non farlo. Del resto oggi il famoso Piazzale è ingombro anche di una ventina di tende a padiglione, in bella riga. Si tratta di un cosiddetto “Festival della pizza”, e quello non c’è proprio modo di trasferirlo sotto terra, come sarebbe il caso.

Su un altro lato del Piazzale si sta svolgendo un matrimonio cinese, uno dei tanti. Si tratta di un pacchetto “all inclusive” sempre identico: l’immancabile limousine lunga almeno dieci metri è infiocchettata per l’occasione. La sposa è in bianco, mentre lui è infagottato in un abito che viene passato da uno sposo all’altro senza riguardo per le misure. Fra poco i due saliranno sulla limousine che li porterà in due o tre luoghi precisi per le foto di prammatica: la scala di San Miniato, e poi il monumentale cedro del Libano nel giardino un tempo noto come “Tivoli”, poco più in basso. Lì il fotografo li comanderà a bacchetta, imponendo pose spericolate, baci contorti, abbracci inverosimili, creando loro una memoria di momenti mai accaduti da spedire, forse, ai parenti rimasti in Cina.

La limousine, con le sue dimensioni fuori controllo, contende il parcheggio, peraltro vietato, a una Ferrari rossa fiammante. Un commesso sussiegoso quanto un telecronista sportivo spiega che per 50 euro ti consegnerà la macchina per un giro di 5 minuti sul viale dei Colli. La webcam installata dietro il sedile di guida, se ho ben capito, è compresa nel prezzo. Subito si crea una coda di aspiranti ferraristi, tutti maschi ovviamente. Le mogli, o fidanzate, non so se potranno montare in macchina, o se dovranno aspettare il ritorno di lui, che sfoggerà un sorriso inebriato.

Dio, Dio, quanto è lunga la giornata!

Prendo un “13” e sbarco a Porta Romana. Da lì vorrei andare verso il centro, ma il bus 11, in piazza della Calza, è annunciato dopo ben 45 minuti. Un gruppo di anziani staziona alla fermata. Pare che questo sia il tempo normale di attesa, anche senza considerare i frequenti salti di corse. Dopo un po’ a qualcuno viene un dubbio: non avranno cambiato percorso? Un volontario esce dalla porta e guarda la fermata dei bus sulla destra. Effettivamente un cartello informa che l’11, provvisoriamente, non passa più da via Romana, interrotta per lavori, ma gira all’esterno delle mura. Il volontario, temendo di perdere il prossimo passaggio, non torna indietro fino a noi, ma si sbraccia da lontano, cercando di farci capire che bisogna raggiungerlo. Dò il braccio a un’anziana e ci incamminiamo in gruppo verso la fermata fuori le mura. Ma quando siamo a mezza strada, un 11 arriva sferragliando e imbocca deciso la via Romana…. Si vede che il cartello era vecchio e non aggiornato. Non ce la facciamo a tornare alla fermata, e così il bus è perso! Non rimane che aspettare altri 45 minuti, a meno di incamminarci a piedi. Tento la strada col mio bastone, e rinuncio.

Decido di provare con un taxi. Mi dirigo all’apposita zona di sosta. Ovviamente è vuota e mi accingo ad aspettare con un piccolo gruppetto di altri clienti. Dopo qualche minuto arriva la prima macchina, e dopo pochi altri anche una seconda. Entrambe viaggiavano con la scritta Taxi già spenta. Significa che avevano già fatto partire il tassametro chissà quando, e ovviamente non lo azzerano alla ripartenza. Finalmente arriva anche il mio taxi, e non ho il coraggio di fargli notare che mi sta truffando. Del resto, deve essere una prassi molto comune, come ho potuto capire dalle altre auto prima di questa. E il tassista sfoggia una invidiabile faccia di bronzo. All’arrivo, vicino a piazza del Duomo, il tassametro segna la cifra sbalorditiva di quasi 20 euro, ma il driver preme un misterioso bottone, poi un altro e un altro, e l’importo diventa 28 euro, per un tragitto di un paio di chilometri. La scarna conversazione si è svolta tutta in inglese, perché ormai solo gli stranieri prendono il taxi, e anche io sono stato scambiato per americano.

Il tassista però non ha tutti i torti: la strada è un percorso di guerra fra cantieri, cartelli di pericolo, transenne, sensi unici invertiti… fra tutti i lavori in corso molti sono quelli dell’acquedotto, che infatti fa acqua da tutte le parti. Non si contano le perdite che emergono da sotto la superficie per finire nelle fogne. E le buche nell’impiantito, ormai lontano parente di una strada asfaltata, fanno sobbalzare a ogni metro, mettendo a dura prova gli ammortizzatori. Il tassista mi racconta che tempo fa ha rovinato l’auto con una di queste buche ma il Comune non lo ha voluto risarcire, e il giudice ha respinto la richiesta di ristoro per la ragione che il conducente deve vigilare, e ha tutto il tempo di capire se è il caso o no di entrare nella buca.

La tramvia non arriva dalle mie parti, ma vi salgo per provarla. E’ molto spaziosa e comoda, ci mancherebbe: infatti è un vero e proprio treno, certamente troppo grande per il centro città, ma che ci vogliamo fare? Pare che non vi fossero soluzioni alternative, e che quelle adottate da tante città all’estero fossero tutte incompatibili. Da noi, a Firenze, le soluzioni semplici non sono ammesse. Il percorso della tramvia è una vera linea ferroviaria, con tanto di gradino sopraelevato che impedisce l’attraversamento alle auto. Colossali piloni neri sorreggono un intrico di cavi elettrici, che a Firenze non era possibile interrare come in altre città. Siamo fatti così, noi fiorentini. In alcune vie il treno passa così a ridosso delle case che sfiora il marciapiede. Tutti i parcheggi su strada sono stati eliminati; chi ha un’auto (e chi può permettersi di non averla?) deve cercar posto altrove, e fare centinaia di metri con le borse della spesa per raggiungere casa. Piazza della Libertà e piazza San Marco oggi sono veri e propri snodi ferroviari. In viale Don Minzoni ci sono anche dei respingenti per fine corsa del treno. E qui, per cristiana carità, ci fermiamo anche noi.

 

 

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