Raggiunsi la frontiera a bordo della mia Audi nuova fiammante. Gli agenti doganali furono cortesi, anche se vollero controllare il portabagagli. Poi mi fu dato il via libera solo con un’alzata di sguardo.
Guidai lentamente oltre gli uffici di confine, finché la strada riprese diritta e larga come era stata prima. Allora premetti nuovamente sull’acceleratore, assaporando la sensazione di sicurezza che mi si trasmetteva dai pedali e dalla presa sul volante.
Fu dopo circa dieci chilometri che notai, sulla destra, a lato della carreggiata, una grossa voragine di forma tondeggiante, tanto vicina da apparire quasi pericolosa per la circolazione. Strano che non sia segnalata, pensai: qui sono sempre così scrupolosi! Proseguendo ne vidi altre, più piccole e non così a ridosso. Che stiano facendo una piantumazione di alberi di alto fusto?
Si fece buio in fretta, cosa normale vista la stagione. La strada era adesso completamente deserta, e i miei fari erano gli unici a solcare la notte. Poco dopo, però, iniziarono a vedersi altre luci; fuori del tracciato, per lo più oblique rispetto al senso di marcia. Erano quasi tutte ferme, e nei coni di visuale che esse creavano si vedeva ben poco, appena qualche arbusto. Trattori impegnati in lavori notturni, pensai. Brutto segno per il tempo: vuol dire che è prevista pioggia domani, e i contadini vogliono terminare l’aratura. La cosa mi dette un lieve fastidio, subito sopito dall’ottima musica che proveniva da un CD in movimento nel baule posteriore.
Ancora qualche chilometro e incontrai un posto di blocco. Si vedevano i fari rivolti verso di me, i cartelli di alt sistemati sull’asfalto, e le sagome degli agenti con le armi in pugno o a tracolla. Quando mi fermai, uno di loro si avvicinò con una mitraglietta al braccio. Aveva una faccia inespressiva. Mi chiese i documenti, parola che capii perché è un po’ uguale in tutte le lingue; ma il resto non lo afferrai. Aveva usato di sicuro un dialetto locale, non avendo notato nel buio la targa straniera.
Visti i documenti miei e della macchina, mi chiese ancora qualcosa di incomprensibile. Allargai le braccia, chiedendomi cos’altro servisse. Forse la carta verde? Glie la mostrai fra le cose che aveva già in mano, ma la cosa non gli andò a genio. Chiamò un collega, anche lui armato, col quale confabulò brevemente. Poi quest’ultimo si rivolse a me storpiando la mia lingua. Voleva il lasciapassare! Che lasciapassare? gli chiesi. Non rispose, ma intanto fu chiamato ancora qualcuno, che si rivelò un superiore, con le stellette sulla tuta mimetica. Ricontrollò anche lui tutto quanto, poi mi chiese di scendere dalla macchina.
Obbedii controvoglia. Proprio mentre stavamo camminando verso una baracchetta che era il quartier generale del posto, si sentì una sirena di allarme, e un forte rumore di motori in arrivo. Tutti urlavano e correvano. Anche quelli che erano con me gridavano, e corsero verso il bordo della strada.
Capii improvvisamente che si trattava di aerei: i coni di luce si avvicinavano dall’alto illuminando la scena. Poi iniziarono i colpi di mitragliatrice, bombe, e la risposta con mitra e fucili di chi stava a terra. Ero il più esposto di tutti, perché per la sorpresa ero rimasto in mezzo alla strada. Fu una carneficina: Quando tutto fu finito si sentirono i rantoli dei feriti, le imprecazioni, i richiami dei sopravvissuti, e mi resi conto di quanto fossi stato fortunato a cavarmela senza neppure un graffio.
Si udirono anche ordini secchi, grida concitate, rumore di scarponi sul selciato stravolto. Adesso era buio completo, perché i fari erano stati spenti in fretta e furia all’inizio dell’attacco. Nella confusione, istintivamente mi diressi alla mia macchina. Anch’essa era intatta. Nessuno badava più a me.
Mi misi alla guida, accesi e partii, prima con cautela, poi più rapidamente. Sentii confusamente le grida di chi era più vicino, il rumore di motori rimessi in marcia, una sventagliata di mitra che fortunatamente non colse nel segno. Ormai ero lontano, e evidentemente nessuno ritenne opportuno inseguirmi.
Ma dove ero capitato?
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