Tutto iniziò verso il 2035. Allora avevo appena sessant'anni; oggi ne ho centodieci, e ultimamente la memoria mi gioca brutti tiri; però quel tempo lo ricordo ancora alla perfezione.
Ho usato il termine "iniziare", ma avrei dovuto dire "terminò": sì, perché giusto cinquant'anni fa nel mondo si smise di scrivere.
Fu un processo relativamente breve: per prima scomparve la poesia, uccisa dal disinteresse del pubblico; poi scarseggiarono i romanzi e i racconti, fino a sparire completamente. Rimasero i trattati storici e scientifici: di medicina, di astronomia e di tutte le scienze, anche se presero via via una piega sempre meno teorica e più applicativa.
Ormai, a cinquant'anni di distanza, si è perso perfino il ricordo di che cosa fosse una storia narrata. Nessuno ne sente più il bisogno, e credo che siamo rimasti soltanto noi vecchi, e pochi perfino fra di noi, a coltivare la nostalgia dei capolavori del passato.
Ho in casa una parete attrezzata a libreria e ogni giorno spolvero i vecchi libri che la popolano: il dottor Zivago, la Divina Commedia, i Miserabili, .....
Una volta usavo anche il libro elettronico... com'è che si chiamava? No, non mi viene; ma poi sono cambiati i protocolli, i formati, non so bene che cosa, e i testi sono diventati illeggibili. L'apparecchio del resto non si accende, né si ricarica più.
I libri di carta invece sono ancora lì e mi piace sfogliarli, sottolineare le frasi più profonde, coltivarne l'uso segreto in un mondo che non sospetta la mia grande passione.
Più volte negli ultimi anni mi sono domandato la causa di tutto questo. E più volte mi ha tormentato il dubbio che qualcosa si potesse fare per non dimenticare, per coltivare la capacità di esprimersi e di raccontare; ma i processi così rapidi e su così vasta scala hanno ragioni profonde che non possono essere contrastate con la buona volontà, con lo stimolo alle coscienze, o peggio con la costrizione scolastica. Bisogna rassegnarsi: l'umanità ha cambiato passo, come tante altre volte è accaduto nella storia; ed ogni volta ci sono state vittime, rimpianti, vani tentativi di tornare indietro. E non è detto che quei tentativi fossero tutti meritevoli: io stesso mi domando se non abbiano ragione tutti gli altri ed io sia diventato soltanto un vecchio brontolone, come sono quei pensionati che non capiscono più gli altri e accusano gli altri di non capirli.
Certo non si può escludere che sacche di narrativa o di poesia sopravvivano in remote contrade del mondo; ma si tratta di sfridi destinati ad essiccarsi via via che la civiltà si espande in nuove aree e impone le sue norme.
Qualche tempo fa, un giorno ho notato che la posizione dei testi in libreria non era la stessa di prima. Ho pensato di aver fatto confusione, e ho rimesso tutto a posto nell'ordine maniacale che desidero. Ma anche il giorno dopo, e quello dopo ancora, qualcuno aveva toccato e spostato alcuni dei libri.
Mi sono messo a spiare la domestica, alla quale avevo intimato di non avvicinarsi neppure a quella parete perché provvedo personalmente alla sua pulizia; ma niente, lei non ha fatto proprio nulla. Eppure l'indomani i libri erano di nuovo in disordine.
E così è ancora oggi: ogni mattina trovo libri fuori posto!
"Qualcuno dei miei ha deciso di farmi perdere la ragione!" penso turbato. Non sono ancora decrepito, e ho ancora la speranza di campare qualche anno; però magari il mio genero scalpita, e mi si è messo contro? Ma no, non voglio abbandonarmi alla mania di persecuzione, e poi sospetti tanto ignobili mi ripugnano!
Ma allora? I movimenti continuano, non in modo sistematico o seguendo un disegno, ma in modo apparentemente casuale: un giorno trovo i Buddenbrock fra i libri di Rilke, un altro il Don Quijote a fianco dei Promessi Sposi.... Non me ne capacito. Veglio di notte finché posso, ma non riesco a cogliere il responsabile sul fatto. Ultimamente è diventata una vera ossessione e temo di impazzire davvero!
Oggi compio centoundici anni, e mi sono svegliato più tardi del solito. La luce si insinua nelle fessure della persiana chiusa e certamente là fuori un sole tiepido annuncia non so che anticipo di primavera. La mia tensione si è allentata, sento che qualcosa sta per accadere. Lo avverto distintamente, ma non so altro. Fra poco irromperanno i parenti più stretti per gli auguri di prammatica. È consolante, ma non è questo che serve, non è questo!
Sul tavolo c'e una busta piuttosto voluminosa: un regalo del mio nipotino sedicenne per il suo bisnonno.
Inforco gli occhiali e apro. C'è un fascicolo scritto con mano ancora infantile ed incerta.
Inizia così: "C'era una volta..."
Nessun commento:
Posta un commento