giovedì 30 aprile 2020

Novella 7: FARE SENZA


"Come sarebbe figliolo?" La voce del povero parroco era accorata.
"Padre, rispose il Moretti, mi spiace per lei che mi conosce da quando ero bambino, ma è tutto molto chiaro: la realtà va interpretata soltanto mediante la scienza. Le  spiegazioni razionali sono le uniche ad avere un valore. Tutto il resto è vano, illusorio, o come diceva qualcuno "oppio dei popoli"!
"Anche la fede?" fece l'anziano priore.
"Ah la fede..." il Moretti alzò gli occhi al cielo. "A lei interessa parecchio, immagino".
"Buon Dio sì, ragazzo mio! Ma non solo quella: come li spieghiamo i sentimenti, la commozione, i sogni, le speranze...?"
"Con la chimica e la fisiologia, padre. Uno mangia troppo la sera, e la notte sogna di volare; un altro prende una botta in testa e dimentica perfino come si chiama...: azione e reazione, padre, o se preferisce tesi, antitesi e sintesi!
"Non dire così figliolo...!" scosse la testa il parroco.
"Ma così stanno le cose: nulla esiste al di fuori delle teorie scientifiche!"

Così dicendo il Moretti si era alzato dal confessionale, aveva salutato ed era uscito dalla chiesa, lasciando il vecchio parroco affranto nel suo stallo.
Là fuori c'era un bel tramonto, ma il Moretti non lo guardò: salì in macchina e partì in fretta e furia, perché aveva un appuntamento.
La radio non trasmetteva musica.
Passò un attimo al bar, ma gli amici si erano già dileguati. Il cagnolino del barista, al quale usava passare un bocconcino ogni mattina,  gli ringhiò contro, lasciandolo un po' interdetto. 
Tornò subito in macchina e si rimise alla guida. Adesso il notiziario riferiva di non si sa quale guerra lontana. Il Moretti cercò un altro canale, ma doveva essere una guerra importante perché su tutte le lunghezze d'onda non si parlava d'altro. Che noia!
La sua meta era un certo alberghetto di periferia.
"Sei in ritardo", l'apostrofò lei. "Figurati, mi sono messo a discutere con don Vincenzo, e mi è passata l'ora".
"Attento, non ti sedere lì che mi sgualcisci la gonna!"
"Vieni a letto, dai!" 
"Mi rovini la pettinatura!". 
Quella volta l'amore fu come masticare sapone. 
Rivestitosi dopo la doccia, avrebbe voluto parlare un po', ma lei già guadagnava la porta: "Devo vedere il commercialista".
Poco dopo il Moretti richiuse e scese le scale. Alla reception non c'era nessuno, così se ne andò senza pagare. Tanto avrebbero segnato sul conto. 
Mentre guidava osservò che, come sempre accade, la luce dei fari delle altre macchine, abbagliandolo, gli impediva di scorgere chi fosse all'interno.
Quando arrivò a casa era buio pesto. Armeggiò con le chiavi finché riuscì ad aprire e varcò la soglia cercando l'interruttore col dorso della mano.
Quando la luce si accese fu preso da sgomento: era tutto vuoto! Non un mobile, nessun quadro, niente di niente...
Allora si attaccò al cellulare, ma le uniche risposte furono voci automatiche di segreterie telefoniche.

Bisognava rifarsi dall'inizio!

Così il Moretti riprese la via della chiesa. 
Era ormai notte fonda. Bussò al portone, ma nessuno apriva. Riprovò, e niente.
Si mise a tempestare il portone con i pugni e finalmente, quando stava per rinunciare, quello si aprì di un tanto e una figura minuta, mai vista prima, si sporse fuori.
"Che cosa desidera signore?" fece con un vocino appena distinguibile.
 "Cerco il parroco, potrebbe avvisarlo che sono tornato?"
"E' troppo tardi, signore."
"Certo lo so che è tardi, però vede... avrei davvero urgenza..."
"No no, signore, è troppo tardi! Don Vincenzo ha avuto... il cuore... Sono appena andati via tutti: ambulanza, medico, infermieri. Adesso è nel suo letto. Riposa, ma con due ceri accesi di fronte, e proprio non si può disturbare..."
"Ma come... - il Moretti era sbalordito - solo tre ore fa stava benissimo! Non posso crederci... e povero me, che avevo proprio bisogno di parlargli".
"Purtroppo..."
"Ma potrei almeno vederlo?"
"Certo, entri pure, signore!"

La salma era stata composta alla meglio, le candele accese mandavano un odore mieloso.
Il Moretti osservò attentamente quel volto. L'inarcamento delle sopracciglia era innaturale, qualcosa di davvero notevole: un moto di sorpresa? Un messaggio solo per lui? Un rimprovero forse? Possibile che la conversazione di prima...? 

In quel momento la campana del vecchio campanile si mise a battere i suoi lenti rintocchi. Suonava a morto: don... don... don... Sul volto impreparato del Moretti si sparse un fiotto di lacrime. E non voleva smettere!
La figurina che lo aveva accolto sulla porta ricomparve e gli cinse le spalle. Lui lasciò fare.
Poi al Moretti sembrò, ma chissà se era vero, che un coro lontano cantasse una canzone.


giovedì 23 aprile 2020

Novella 6: RITENTA!


C'era una volta un uomo, già avanti con gli anni, che si riteneva buono e giusto. Un giorno entrò in chiesa e si rivolse a Dio:
"Poiché sono l'uomo più buono, più giusto e più pio di tutta la città, credo di meritarmi una ricompensa!"
Dio, che essendo Dio aveva previsto quella visita ed era già in attesa dietro l'altare, apparve in forma di nuvola. Da quella nuvola uscì una voce:
"Hai ragione, figlio mio, e poi oggi sono di buonumore: chiedimi quello che vuoi, e te lo darò."
L'uomo, che da tempo  si preparava a quel momento, rispose senza esitazione:
"Dio che puoi tutto, fammi tornare giovane!"
"D'accordo, figliuolo: possiamo farlo e lo faremo. Ma... per capire meglio, vuoi rivivere la stessa vita che hai fatto, oppure una nuova?"
L'uomo ripensò alla vita vissuta fino a quel giorno e non la trovò gran che. Anzi, a ben ricordare, c'erano alcuni episodi che per carità, niente di terribile, ma a ripensarci sarebbe stato meglio.... E poi, signori miei, perché non riprovarci da capo? Magari andrà un po' meglio, no? E ciò disse al Signore Iddio.
"D'accordo figlio mio. Ora un'ultima cosa: nella tua nuova vita vuoi ricordarti o no di quella precedente?" 
L'uomo pensò che sarebbe stato molto comodo trovarsi sì giovane, ma con l'esperienza della piena maturità. Riferì a Dio questa scelta. La nuvola ebbe un fremito.
"Tutto mi è possibile, e anche questo naturalmente!
Ah quasi dimenticavo: come tutte le cose, anche i miracoli hanno un costo: un nuovo inizio chiama la sua fine... "
"Che significa?"
"Significa che dovrai conoscere la tua fine".
Turbato, l'uomo rifletté a fondo, ma la tentazione era così forte che si decise:
"Morire, dobbiamo morire comunque. Per cui non cambio idea. Tantopiù che alla morte poi non ci ripenserò per un pezzo."
"Bene figliolo, accomodati allora. Ti farò vedere."
"Ma come... subito?" Controvoglia l'uomo prese posto su una panca. 

Nella chiesa, a quell'ora, non c'era più nessuno. Solo un barbone, non visto, era accucciato in un canto e guardava la scena senza alcuna meraviglia, perché tutto già aveva conosciuto e provato nella sua vita di stenti. Ma la faccia di quell'uomo, alle prese col suo destino, non l'avrebbe mai più dimenticata. Era una faccia segnata dal raccapriccio! 
E difatti quell'uomo alzò lo sguardo verso la nuvola: "È troppo, Signore. Non posso sopportarlo". 
"Lo immaginavo, ma ho voluto che te ne rendessi conto da solo. Annulliamo tutto, dunque?" 
"Annulliamo!" si affrettò a rispondere l'uomo, ancora scosso dai brividi.
"Sta bene dunque. Addio!" E la nuvola iniziò a evaporare. Ma l'uomo chiamò di nuovo:
"Un momento Signore!"
"Che c'e ancora?"
"Avendo rinunciato, dimmi che non morirò nel modo che ho visto!"
La risposta di Dio fu lunga e argomentata ma, per quanto l'uomo aguzzasse l'udito, gli arrivò confusa e incomprensibile, mentre la nuvola finiva di dissolversi.

giovedì 16 aprile 2020

NOVELLA 5: IL SONETTO AMOROSO


Tempo fa il mio amico ed illustre poeta Alfiero Romagnoli aveva incontrato una ragazza e se ne era innamorato perdutamente. 
Per conquistarla aveva deciso di scriverle una poesia, anzi la più bella poesia che avesse mai composto.
Alfiero ardeva di passione, e dunque si accinse all'opera con convinzione e allegria.
"Non cadrò nella trappola della insulsa rima cuore-amore!", mi disse per prima cosa. E si ingegnò a cercare il meglio fra consonanze preziose e inaudite.
Trovò interessante abbinare "echi" con "c'è chi...", anche perché adorava gli enjambements.
Gli piacevano molto poi le rime fra parola piana e parola sdrucciola, e si annotò "sembri" con "émbrici" (termine poco usato in poesia e per questo a lui grato).
L'endecasillabo gli parve il metro più consono, e il sonetto la misura più appropriata a una composizione amorosa. 
Ridemmo assieme sull'errore tipico degli ignoranti, che considerano endecasillabi tutti i versi di undici sillabe, ignorando le vere norme del ritmo.
Fece accorto uso di metafore, ma le abbellì qua con un chiasmo, altrove di anastrofi e ossimori, con timbri modulari e un generale registro stilistico sofisticato, addolcito da accenti lirici e vibranti.
Quando ebbe concluso, felice del risultato, passò da casa mia a leggermi l'opera. Nel farlo si compiacque di rimarcare le rime più ardite, di cadenzare con perizia i versi, di accentuare le cesure nella dizione. Mi complimentai vivamente con l'amico. Brindammo al successo dell'impresa, dopo di che Alfiero mi lasciò abbracciandomi con affetto.

Lo rividi la sera stessa che sembrava un pugile suonato. In quei giorni, mentre lui era impegnato nella scrittura, la sua amica aveva conosciuto un tecnico delle luci di Cinecittà,  "uno di quei lavoranti, capisci? - mi disse affranto - che solo per il fatto di operare nel cinema si vestono di nero e si spacciano per artisti!". 
E si era messa con quel bel tomo prima ancora che Alfiero potesse consegnarle il sonetto con il quale, ne era certissimo, lui l'avrebbe fatta sua.
Fu così che quei versi, anziché finire su di un comodino, furono pubblicati in volume assieme ad altri. Il nome di lei era stato tolto, alcuni particolari riaggiustati, ma il sonetto era pur sempre quello.
Fra i lettori, il successo fu subito caloroso. E Alfiero se ne consolò a tal punto che finì per ringraziare il cielo che la storia fosse andata in quel modo: che il suo talento risultasse di beneficio per molti, anziché servire a quella sola, sciocca ed ingrata fanciulla.

giovedì 9 aprile 2020

Novella 4: EVA E IL PARADISO PERDUTO

(Dalle memorie di Eva)
Era un posto magnifico, l'Eden. Magnifico. Non avevamo bisogno di nulla, neppure dei nostri nomi, che infatti ci saremmo dati molto più tardi. Il concetto stesso di "bisogno" non era contemplato: non avevamo alcun "bisogno", né ci accorgevamo di tale mancanza, perché non conoscevamo il significato di quella parola. Anzi, la parola non esisteva affatto, al pari del suo significato.
Mancavano anche altre cose, e parole, come "dolore", "dispiacere", "tristezza".... Semplicemente erano assenti, ma non ci rallegravamo della loro mancanza. Perché eravamo perfetti e inconsapevoli di che cosa potesse essere il Male. 
Felici no, o meglio sì certo, ma non lo sapevamo. Eravamo perfetti e completi come può esserlo un albero di fico quando i frutti sono maturi. E non avevamo alcuna necessità di pensare che più avanti i frutti sarebbero potuti marcire e cadere prima che qualcuno li avesse gustati. I fichi non sono lì per marcire né per esser mangiati. Sono maturi e basta. E anche noi eravamo ok.
La memoria che ho di quella situazione non è limpida. Ricordo la sensazione che provavo, ma non i dettagli. Penso però che Adamo (quello che poi si sarebbe chiamato così) si svegliasse al mattino dal suo sonno privo di sogni e mi guardasse subito con quel sorriso che sarebbe rimasto stampato sul suo volto per tutta la giornata. Penso che iniziasse così. Qualche volta con due dita mi avrà scostato un ricciolo dei capelli, altre volte mi avrà cortesemente accompagnata nella passeggiata mattutina. Sì, penso che andasse così.
Sta scritto: "E l'eterno Iddio... gli soffiò nelle narici un alito vitale, e l’uomo divenne un’anima vivente". Ma che significa "vivente", se non è ammesso il suo opposto? E che significa "felice", se non sai che cos'è la tristezza? Tutte queste domande non me le ponevo io, me le fece qualcun altro. Si chiamava Serpente. A quelle domande io non seppi rispondere. Mi mancavano le parole, il sorriso spariva dalla mia faccia, e già questa era una risposta.
Così il Tempo fece irruzione nell'eterno, la Vita si riversò sulla mia anima, il sangue pulsò nelle vene. Fu dunque il Serpente, e non l'Eterno Iddio, a dare inizio alla vita. A quella vera, intendo, quella che è tale perché termina con la morte.
Ma ancora non lo capivo. Mi rendevo conto che qualcosa era cambiato, ma non sapevo che cosa. Fu allora che il Serpente mi propose di mangiare la mela. Mangiarla non era che il passo successivo e conseguente: la vita, il tempo erano già cominciati in quel mio silenzio imbarazzato che non era compatibile con la perfezione.
Non potevo più farne a meno. Era il frutto dell'albero "della conoscenza del bene e del male". Smarrita ogni certezza mi servivano risposte, e quell'albero me le avrebbe date. E difatti la mente mi fu aperta. Scoprii, appunto, che cosa fosse il Male, e di conseguenza riconobbi finalmente anche il Bene! Capii l'irreparabilità di ciò che era accaduto e l'Eden mi apparve per quel che era: luogo impareggiabile e paradiso perduto. Dunque il primo sentimento che provai, uscendo da quello stato di incosciente perfezione, guarda caso, fu la nostalgia! Oh magia del Tempo che trascorre e lascia le sue tracce! Oh bagliori e speranza di un incerto futuro!
In quel momento comparve Adamo, col suo sorriso stampato e un po' ebete. Ne provai raccapriccio e compassione. Mi guardava e non vedeva nulla. Non vedeva che ero nuda e desiderabile, non avvertiva l'odore di vivente che esalava dal mio corpo ormai fatto carne. Era urgente rimediare, e lo feci: porsi anche a lui la mela, quella mela già segnata dai miei denti, e lui si fece convincere subito perché si fidava ancora di tutto ciò che gli dicevano, e soprattutto di ciò che gli dicevo io, sua costola. Dunque lui non ebbe alcuna colpa, se incolpevole può dirsi chi non capisce. O forse quella fu la colpa maggiore di tutte, ma non era sua, perché era dovuta alla prigione dei sensi in cui ci avevano rinchiusi, e da cui io ero uscita per prima.
Bastò un morso: i suoi occhi cambiarono improvvisamente colore. Non so se lo stesso fosse accaduto ai miei, ma percepii chiaramente questo loro trascolorare verso un marrone molto scuro. Lo sguardo si fece pieno di pensiero e le sopracciglia si inarcarono per effetto di mille interrogativi. 
Sulla fronte gli comparve una ruga sottilissima.
Poi Adamo si volse verso di me. Non saprei dire che cosa vedesse esattamente, ma probabilmente in quel momento vide tutto assieme ciò che ogni uomo, nei millenni a seguire, avrebbe visto di volta in volta nella propria donna: dea, femmina, creatura incomprensibile, madre, vipera, amica, avversaria... Ma poiché ero nuda, il suo sguardo divenne malizioso e carico di pretese. Finalmente si era accorto di come ero fatta!
A quello sguardo risposi, e non è affatto vero che ci vergognammo di essere nudi; al contrario ne fummo consapevoli e curiosi, tanto che iniziammo ad esplorarci in un modo che si rivelò piacevole di un piacere mai neppure immaginato prima.
L'Eterno Iddio ci cercava, ma noi non ci eravamo nascosti. Eravamo stesi in un'oasi di verzura a deliziarci della nuova libertà. Né ci importava gran che, in quel momento, di ciò che l'Eterno Iddio potesse pensare o volere da noi. 
Ogni tanto, quando sopraggiungeva la spossatezza, un'ombra passava sulla fronte di Adamo: la spossatezza lo preoccupava, gli faceva quasi rimpiangere l'ebetudine di prima. Allora mi chinavo su di lui e lo scaldavo come solo una donna sa fare. Come neppure l'Eterno Iddio aveva saputo, né avrebbe mai saputo fare.
La sera stessa ci mettemmo in cammino sotto la volta delle stelle. Lasciammo l'Eden senza voltarci indietro - fuggiti o cacciati, che importa ora saperlo. L'aria si fece densa: si avvicinava un temporale, ma casa nostra ci avrebbe riparati. Ci aspettavano una soglia fiorita, un'edera che si arrampicava sul muro e girava oltre lo spigolo di pietra; un lume di candela, un caminetto acceso e il buon odore della legna di pino che bruciava. Raggiungemmo quella casa come sospinti da un vento favorevole e da lì non ci allontanammo mai più, se non per star dietro all'aratro o per raccogliere il grano.
Certo, sorella morte aveva lì dentro un suo alloggio e una sua branda. Ci scrutava, lo sapevamo bene, ma noi restavamo intenti a noi stessi, concentrati sulle nostre vicende.

Fu da lì , da quella casa, che l'avventura ebbe inizio.

giovedì 2 aprile 2020

Novella 3: L'UOMO CHE VOLEVA DISFARSI DI DIO


Un grande scienziato, fiero delle sue scoperte e invenzioni di rilevanza mondiale, un giorno decise che non c'era più bisogno di Dio.
Si recò dunque in Paradiso e lo affrontò a viso aperto: “Ormai l'umanità può fare a meno di te: la scienza e la tecnica hanno raggiunto una perfezione che eguaglia, se non supera, quella della creazione; dunque per favore fatti da parte, perché sei diventato inutile”.
“Effettivamente – rispose Dio – avete fatto grandi progressi, lo devo riconoscere e me ne compiaccio. Ma davvero siete diventati pari a me?
“Posso dimostrartelo - disse lo scienziato. A te la scelta: che cosa vuoi che faccia?”
“Perché non crei una vita umana plasmando il fango, come io feci con Adamo?”
“Niente di più facile”, rispose lo scienziato, e chinatosi cercava del fango con il quale, grazie a una recentissima tecnologia, avrebbe dato vita a una nuova creatura.
“Qui cercheresti invano del fango, - osservò Dio – In Paradiso non abbiamo simili incomodi”.
“Nessun problema” replicò lo scienziato estraendo dal taschino uno smartphone di ultima generazione. Guarda un po' qui dentro quante cose ho creato”. E gli mostrò un film di fantascienza dove si vedevano uomini, piante ed animali di tutti i tipi e di tutte le fogge; alcuni dalle sembianze consuete, altri del tutto originali e inesistenti nel mondo fisico.
“Molto bene! - fece Dio – Però queste sono immagini, non creature viventi. Non sai fare di meglio?”
L'uomo, che si aspettava questa obiezione, fece ricorso alla sua filosofia: “Immagini, certo. Ma tutto ciò che ci si presenta è immagine. Anche ciò che sembra tangibile e concreto è in realtà una creazione dei nostri sensi, una mera sensazione cui noi, e noi soli,  diamo un nome e la dignità di presenze. Dunque fra le immagini che ti ho mostrato e, ad esempio, un cane in carne ed ossa, non c'è alcuna differenza filosoficamente apprezzabile”.
“Perbacco... - disse Dio – non ci avevo pensato. Ma allora non sei tu a farmi visita in questo momento. Sono io che mi affaccio alla porta dei tuoi sensi e busso alla tua immaginazione. E se non sono altro che una tua creatura, puoi disporre di me a piacimento. Visto che vuoi liberarti di me, perché non mi uccidi? Io che vedo attraverso le cose mi sono accorto che hai un coltello alla cintola. Usalo, colpiscimi qui, al costato. C'è una vecchia cicatrice: me l’hanno fatta i tuoi avi con la lancia, mentre ero sulla croce più di duemila anni fa”.
L'uomo era disorientato. “Ti hanno ucciso, difatti, ma in modo imperfetto; tanto è vero che da allora la tua presenza nel mondo non è per nulla diminuita: anzi, si è ingigantita”.
“Sì, mi era parso infatti. Ebbene? Avrai pure un modo migliore per disfarti di me”.
“Se tutto nasce nei miei sensi e nel mio cervello – ragionò l'uomo quasi fra sé - Dio c'est moi, per dirla alla francese. E il modo più sicuro per eliminarti non è uccidere te, mero simulacro di Dio, ma suicidarmi.”
“Figliuolo, non dirlo neppure per scherzo! Non potrei mai perdonarmi di averti indotto a un simile passo. Io che ti amo in modo così esclusivo e disinteressato”.
“Tranquillo, non sono così sciocco. Non è necessario uccidere nessuno, basterebbe che ti rassegnassi alla tua inesistenza. Ti prego, fallo e lasciami in pace. Oppure, al contrario, dammi la prova della tua esistenza e me ne andrò sereno”.
“Oh bella, adesso mi preghi: è già qualcosa... Ma pensaci un attimo. Tutto l'universo: la bellezza, la gioia ma anche il dolore, i sentimenti, la complessità della natura, tutto è così palesemente divino... quale altra prova dovrei darti? Piuttosto, dammi tu la prova della mia inesistenza, se ne sei capace”
“io... non ce l'ho, questa prova – disse l'uomo ormai completamente confuso -; ma adesso torno a casa e mi metto a cercarla”.
“Molto bene, non mi dispiace affatto. Arrivederci dunque!”.
“Addio”, corresse l'uomo; ma arrossì perché si accorse che anche questo saluto altro non era che una promessa di rincontrarsi.