Un grande scienziato, fiero delle sue scoperte e invenzioni di rilevanza mondiale, un giorno decise che non c'era più bisogno di Dio.
Si recò dunque in Paradiso e lo affrontò a viso aperto: “Ormai l'umanità può fare a meno di te: la scienza e la tecnica hanno raggiunto una perfezione che eguaglia, se non supera, quella della creazione; dunque per favore fatti da parte, perché sei diventato inutile”.
“Effettivamente – rispose Dio – avete fatto grandi progressi, lo devo riconoscere e me ne compiaccio. Ma davvero siete diventati pari a me?
“Posso dimostrartelo - disse lo scienziato. A te la scelta: che cosa vuoi che faccia?”
“Perché non crei una vita umana plasmando il fango, come io feci con Adamo?”
“Niente di più facile”, rispose lo scienziato, e chinatosi cercava del fango con il quale, grazie a una recentissima tecnologia, avrebbe dato vita a una nuova creatura.
“Qui cercheresti invano del fango, - osservò Dio – In Paradiso non abbiamo simili incomodi”.
“Nessun problema” replicò lo scienziato estraendo dal taschino uno smartphone di ultima generazione. Guarda un po' qui dentro quante cose ho creato”. E gli mostrò un film di fantascienza dove si vedevano uomini, piante ed animali di tutti i tipi e di tutte le fogge; alcuni dalle sembianze consuete, altri del tutto originali e inesistenti nel mondo fisico.
“Molto bene! - fece Dio – Però queste sono immagini, non creature viventi. Non sai fare di meglio?”
L'uomo, che si aspettava questa obiezione, fece ricorso alla sua filosofia: “Immagini, certo. Ma tutto ciò che ci si presenta è immagine. Anche ciò che sembra tangibile e concreto è in realtà una creazione dei nostri sensi, una mera sensazione cui noi, e noi soli, diamo un nome e la dignità di presenze. Dunque fra le immagini che ti ho mostrato e, ad esempio, un cane in carne ed ossa, non c'è alcuna differenza filosoficamente apprezzabile”.
“Perbacco... - disse Dio – non ci avevo pensato. Ma allora non sei tu a farmi visita in questo momento. Sono io che mi affaccio alla porta dei tuoi sensi e busso alla tua immaginazione. E se non sono altro che una tua creatura, puoi disporre di me a piacimento. Visto che vuoi liberarti di me, perché non mi uccidi? Io che vedo attraverso le cose mi sono accorto che hai un coltello alla cintola. Usalo, colpiscimi qui, al costato. C'è una vecchia cicatrice: me l’hanno fatta i tuoi avi con la lancia, mentre ero sulla croce più di duemila anni fa”.
L'uomo era disorientato. “Ti hanno ucciso, difatti, ma in modo imperfetto; tanto è vero che da allora la tua presenza nel mondo non è per nulla diminuita: anzi, si è ingigantita”.
“Sì, mi era parso infatti. Ebbene? Avrai pure un modo migliore per disfarti di me”.
“Se tutto nasce nei miei sensi e nel mio cervello – ragionò l'uomo quasi fra sé - Dio c'est moi, per dirla alla francese. E il modo più sicuro per eliminarti non è uccidere te, mero simulacro di Dio, ma suicidarmi.”
“Figliuolo, non dirlo neppure per scherzo! Non potrei mai perdonarmi di averti indotto a un simile passo. Io che ti amo in modo così esclusivo e disinteressato”.
“Tranquillo, non sono così sciocco. Non è necessario uccidere nessuno, basterebbe che ti rassegnassi alla tua inesistenza. Ti prego, fallo e lasciami in pace. Oppure, al contrario, dammi la prova della tua esistenza e me ne andrò sereno”.
“Oh bella, adesso mi preghi: è già qualcosa... Ma pensaci un attimo. Tutto l'universo: la bellezza, la gioia ma anche il dolore, i sentimenti, la complessità della natura, tutto è così palesemente divino... quale altra prova dovrei darti? Piuttosto, dammi tu la prova della mia inesistenza, se ne sei capace”
“io... non ce l'ho, questa prova – disse l'uomo ormai completamente confuso -; ma adesso torno a casa e mi metto a cercarla”.
“Molto bene, non mi dispiace affatto. Arrivederci dunque!”.
“Addio”, corresse l'uomo; ma arrossì perché si accorse che anche questo saluto altro non era che una promessa di rincontrarsi.
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